martedì 27 maggio 2014

L'abbazia dei Telemiti

In questo capitolo Rabelais descrive accuratamente l'appena costruita abbazia dei Telemiti, in dono al frate che ebbe un ruolo determinante nella guerra ormai finita. L'abbazia può essere considerata il simbolo, il centro fondamentale del Monachesimo, fenomeno nato dopo il crollo dell'Impero Romano d'Occidente diffusosi in tutta Europa; essa diventa una microsocietà chiusa che permette l'autosostentamento di questa comunità e non rappresenta soltanto un centro religioso ma anche culturale e produttivo. Nella realizzazione dell'enorme struttura ogni particolare è curato: il tetto è ricoperto d'ardesia, i costoloni vengono decorati con figure di uomini e animali e perfino le grondaie vengono dipinte d'oro e azzurro.

<La costruzione fu di forma esagonale, in modo che ad ogni vertice si elevava una grossa torre rotonda, della misura di sessanta passi di diametro, e tutte erano eguali di grandezza e d'aspetto. [...] Fra una torre e l'altra c'era una distanza di trecentododici passi. Tutta la costruzione era a sei piani, contando per uno anche lo scantinato sotto terra. Il pianterreno era a volta arcata, a forma d'un manico di paniere; gli altri piani avevano i soffitti stuccati di gesso di Fiandra, a forma di cul di lampada; il tetto era coperto d'ardesia fina, coi costoloni di piombo ornati di figure di fantocci e animali ben assortiti e dorati, con le grondaie che sporgevano dalla muraglia, tra una finestra e l'altra, dipinte a strisce diagonali d'oro e d'azzurro, giù fino a terra, dove finivano in bei canali che sboccavano tutti nel fiume passando sotto la casa.>
("Gargantua", capitolo 53, pagina 151) 

lunedì 12 maggio 2014

Libri

Quando Pantagruele viaggia Parigi ha modo di visitare la biblioteca di San Vittore e di ammirare l'infinità di libri che contiene. Rabelais, riportando i titoli dei vari volumi (inventati o meno), non perde occasione per fare umorismo su di essi e alcuni hanno a che fare con la guerra.

<L'arnesaglia dei Presidenti;
Stratagemata francarcierii de Baignolet;
Franco Tapinus, De Re militari, cum figuris Tevoti;>
Il franc'arciere di Baignolet era un personaggio leggendario, il tipo dello spaccone codardo, ampiamente illustrato dalle farse popolari. Franc'arciere sta per arciere franco, ovvero un soldato a piedi o a cavallo così chiamato perchè affrancato dalle imposte, cosicchè fosse sempre pronto a entrare in guerra ad ogni chiamata del re.
Il riferimento al De Re militari scritto da un certo Franco Tapinus (sinonimo di misero, infelice) è un'allusione nonché satira verso gli svariati trattati medievali con quel nome tra cui l'opera scritta in latino attorno al 1450 da Roberto Valturio, consigliere di Sigismondo Pandolfo Malatesta di Rimini.


<L'invenzione della Santa Croce, a sei personaggi, riprodotta dai clerici più filoni>
Con l'invenzione della Santa Croce si allude, fingendo di parlare d'una sacra rappresentazione, all'opera di falsi monetari, capaci di riprodurre le monetine d'argento contrassegnate con una croce.

Le citazioni sono prese dal capitolo 7 del secondo libro, pagine 199-200

domenica 11 maggio 2014

Le catene

<Ragion per cui Gargantua, temendo che [Pantagruele] si facesse del male, fece fare quattro grosse catene di ferro per legarlo, e fece mettere alla culla degli arconi ben puntellati. E di quelle catene se ne può veder una alla Rochelle, che viene tesa la sera fra le due grosse torri che guardano il porto; l'altra è a Lione, un'altra ad Angiers, e la quarta fu portata via dai diavoli, per legare Lucifero che in quel tempo si scatenava, per via d'una colica che lo tormentava da matti, per aver mangiato a colazione l'anima di un sergente in fricassea.>
(Libro secondo: "Pantagruele re dei Dipsodi restituito al naturale con le sue gesta e prodezze spaventevoli", capitolo 4, pagina 188)

Gargantua per contrastare l'irrequietezza dell'appena nato Pantagruele motivata dalla sua fame insaziabile, fa costruire una culla apposita per bloccarlo con catene e archi puntellati al suolo. Con il suo inconfondibile stile, Rabelais descrive iperbolicamente la grandezza e la resistenza delle dette catene.

Fabbrica

<E per avere tutti questi costumi al momento opportuno, su un fianco del bosco di Thelème, vi era un gran corpo di fabbrica lungo una mezza lega, ben luminoso e attrezzato, nel quale stavano orefici, lapidari, ricamatori, sarti, trafilatoti d'oro, vellutai, tappezzieri e tessitori scelti; e ciascuno lavorava nell'arte sua, esclusivamente pei detti religiosi e religiose>
("Gargantua", capitolo 56, pagina 159)

Si descrive da dove provengano i lussuosi vestiti dei religiosi dell'abbazia di Thèleme, una sorta di scuola ideale in cui possano venire ammessi a vivere in comune ragazzi e ragazze che abbiano certe caratteristiche (buoni, belli, gentili), indifferentemente dalla loro condizione sociale e di sangue. La "fabbrica" immaginata dall'autore è occupata da vari tipi di artigiano, ognuno con un' occupazione specifica, che insieme collaborano per produrre le pregiate vesti, quasi come se costituissero una moderna catena di montaggio in una struttura proto-industriale.

Torchio tipografico

<Nessun male fece a loro Gargantua, salvo che li adibì a girare i torchi nella sua stamperia, che aveva impiantato di fresco>
("Gargantua", capitolo 51, pagina 147)








Rabelais qui si riferisce al torchio tipografico, una macchina da stampa introdotta alla metà del XV secolo da Johann Gutemberg, assieme ai caratteri mobili. La tecnica da lui perfezionata consiste nell'allineare i tipi (piccoli prismi metallici di sezione variabile, su ciascuno dei quali compare in rilievo a rovescio un carattereassemblandoli in linee, e unire queste creando le pagine complete di testo. Ogni matrice relativa ad una pagina viene quindi inchiostrata e successivamente stampata con un torchio pressore. 
Evidentemente Rabelais scrive che Gargantua aveva da poco installato le macchine per stampare proprio perchè ai tempi dello scrittore eran da poco state inventate.

Regalo al nemico

<Poi gli regalò una bella spada di Vienna, col fodero d'oro ornato di bei fregi d'oreficeria, e una collana d'oro del peso di settecentoduemila marchi, guarnita di pietre fine, della stima di centosessantamila ducati, e diecimila scudi come grazioso presente.>
("Gargantua", capitolo 46, pagina 135)


Armi

<Impugnò quindi un'ascia di quelli che giacevano là morti, e tornato di nuovo sulla sua roccia, passava il tempo a veder scappare i nemici, e ruzzolar fra i cadaveri, salvo che faceva lasciar giù a tutti le loro picche, spade lance e archibugi, e quelli che portavano i pellegrini legati, li mise a piedi e assegnò i loro cavalli ai detti pellegrini, trattenendoli con sé sul ciglio della strada, insieme a Succiaspina che tenne prigioniero.>
("Gargantua", capitolo 44, pagina 130)


mercoledì 7 maggio 2014

Contesto geografico

<Appunto in quei giorni tutti gli abitanti di Bessè, del Mercato Vecchio, e di Borgo San Giacomo, del Traineau, di Parillè, di Riviera, di Rocca San Paolo, di Valbrettone, di Pautiglia, di Breamonte, del Ponte di Clam, del Cravant, di Granmonte, di Bourdes, di Villa Madre, di Huymes, di Sergè e di Ussè, di San Louant, di Panzoust, dei Coldreaux, di Verron, di Coulaines, di Choshè, di Varenes, di Borgoglio, di Isola Bucardo, del Croulay e di Narsay, di Cande, di Montsoreau, e altri luoghi finitimi, mandarono a Grangola ambasciate per dirgli che erano avvertiti dei torti che gli faceva Picrocole (...)>
("Gargantua", capitolo 47, pagina 137)

I paesi sopra citati si trovano tutti attorno al regno di Grangola padre di Gargantua; esistono ancora nell'odierna Francia, più in particolare nella regione della Loira, sulle sponde dell'omonimo fiume, tra le città di Le Mans e Nantes. 

lunedì 5 maggio 2014

Una pungente analogia

<-Potrebb'essere più brutta di Proserpina, ma avrà sempre, perdio, la sua ripassata, finché ci sono dei frati nei dintorni: com'è vero che un buon artigiano sa mettere in opera tutto quel che gli viene alle mani. Voglio restare impestato se non è vero che le troverete tutte gravide quando tornate a casa: perché dovrete sapere che anche soltanto l'ombra del campanile di un abbazia è feconda.>
("Gargantua", capitolo 46, pagina 132)

Rabelais attraverso le parole del personaggio Giovanni esprime la sua diffidenza nei confronti dei frati ma più in generale di tutta la classe clericale: secondo lui è sicuro che i frati si approfittino delle mogli dei soldati partiti in guerra. Usa una strana metafora che accomuna l'uomo di Chiesa a un buon artigiano che sa utilizzare e manipolare a suo beneficio ogni oggetto che si trova nelle sue mani.
La diffidenza nei confronti del clero è anche espressa poche righe prima con un esplicito riferimento ad Antoine de Tranchelion, abate di Saint-Genou e vicario generale del cardinal de Prie, noto per aver dissipato i beni dei suoi conventi, secondo Rabelais in bagordi.

Armatura

<Ciò nonostante fu armato da capo a piedi a lor piacimento, e montato su un bel corsiero del Reame, con un buon pistolese al fianco, insieme a Gargantua, Ponocrate, Ginnasta, Eudemone, e a venticinque altri dei più arditi della casa di Grangola: tutti armati da capo a piedi, la lancia in resta come San Giorgio, e ciascuno con un archibugiere in groppa.>
("Gargantua", capitolo 41, pagina 123)

Il frate esperto in guerra viene armato e costretto a partire con Gargantua e gli altri per la battaglia contro il nemico Picrocole. Rabelais parla con il solito stile elitario di un corsiero (destriero), di un pistolese (un robusto e lungo pugnale), di una lancia e di un archibugiere, cioè un soldato in grado di far fuoco con un archibugio, ironicamente immaginato in spalla a ogni personaggio, quasi come se lo cavalcasse.

Attività da frate

<- Io,- disse il frate, -faccio molto di più: perché mentre sbrigo in coro i nostri mattutini e le nostre ricorrenze, lavoro intanto a intrecciar corde di balestra, lucido frecce e dardi,  fabbrico reti e lacci per prendere conigli.>
("Gargantua", capitolo 41, pagina 120)

Qui vengono riportate le attività di un frate che vive in un monastero, che, oltre a pregare, pensa a fabbricare armi per proteggere se stesso e la sua comunità e si ingegna nel creare trappole per lepri.

La trappola

<E pisciò così copiosamente che l'orina tagliò la strada ai pellegrini, che furor costretti a valicare il gran fosso. Quindi, costeggiato il bosco della Touche, in rasa campagna, caddero tutti, tranne Fournillier, in un trabocchetto, che era stato messo lì per prendere al laccio i lupi, dal quale si salvarono grazie all'abilità del detto Fournillier, che ruppe tutti i lacci e cordami.>
("Gargantua", capitolo 38, pagina 114)

I pellegrini stanno scappando dall'ira di Gargantua e incappano in una classica trappola a laccio per animali. E' un meccanismo costituito da una corda collegata a un estremità a un ramo in tensione e all'altra estremità a un cilindretto fissato mediante un incastro precario al suolo o a una zavorra. Appena l'animale tocca il filo (tirando un'esca per esempio) o infila la testa in un cappio, fa scattare la corda in trazione che lo solleva da terra.